Essere genitori 2.0 oggi implica anche dimostrarsi pronti ad affrontare questo piccolo grande mondo globale. Le occasioni di partire per paesi lontani sono ormai frequenti, e non parlo solo di turismo.
Mio marito ed io stiamo intraprendendo i primi passi per espatriare in Quebec, Canada, alla ricerca di un mondo più giovane e aperto. I motivi di questa scelta, forse, li affronterò in altri post; oggi vorrei raccontarvi come mi sto preparando ad essere mamma lontano da quella che, almeno inconsciamente, continuerò a chiamare o a considerare “casa”.
Esiste un termine, che in Italia ancora pochi conoscono ed utilizzano, che identifica quello che i miei figli diverranno: TCK, acronimo per Third Culture Kids. La parola, coniata dalla sociologa Ruth Hill Useem negli anni ’60, identifica quei bambini che passano parte della loro infanzia o adolescenza in un ambiente culturale differente da quello della loro nascita o dei loro genitori.
Il fenomeno è stato ampiamente studiato negli Stati Uniti, dove le famiglie si muovono molto di più che nella nostra vecchia Europa, grazie all’osservazione di gruppi ben identificati di persone che si spostavano attraverso i paesi del mondo grazie (o a causa di) al loro ambiente lavorativo: militari, diplomatici, missionari…
Affascinata dal fenomeno, e soprattutto conscia dell’inevitabile impatto che le mie scelte avranno sui miei figli, ho letto il libro Third Culture Kids: The Experience of Growing Up Among Worlds di Ruth E. Van Reken. E poi l’ho riletto. Ho scoperto così che, ad esempio, I TCK tendono ad essere più maturi dei loro coetanei monoculturali durante la prima adolescenza, ma, ironicamente, tendono ad avere una adolescenza più “prolungata”. Che hanno molte più probabilità di laurearsi. Che si trovano più facilmente a loro agio con persone differenti da loro. Ma anche che subiscono una serie di shock culturali ed emozionali (si lo so, non ci voleva un libro per scoprirlo, ma aiuta…). Che spesso si sentono “fuori fase” rispetto al mondo che li circonda.
Naturalmente il mio obiettivo primario è quello di aiutare i miei piccoli virgulti ad affrontare nel modo più sereno e semplice possibile la transizione che verrà; aiutandoli, confortandoli ed incoraggiandoli nei loro momenti difficili, senza pretendere di evitare completamente frustrazione e sofferenza.
Il libro non dà consigli pratici su come affrontare le inevitabili crisi, ma mi ha dato una mano a capire quello che parole non dette potrebbero sottintendere, ed a prepararmi almeno culturalmente, se non emotivamente, a ciò che i miei bambini dovranno affrontare.
La prima cosa che mi viene da scriverti è che ammiro il tuo coraggio. Proprio ultimamente parlo spesso con mio marito di voler lasciare l'Italia e provare un'esperienza estera. A me manca, non avendone fatte in passato, mentre mio marito ha lavorato per 6 mesi in Svizzera, non molto come distanza e tempo ma comunque un'esperienza ce l'ha. Da qui anche l'oppurtunità, io la vedo così, per i nostri figli di appropriarsi in tenera età di una cultura diversa dalla nostra e una nuova lingua con cui rapportarsi. Per ora le mie sono solo parole al vento.Auguri per la tua avventura.
RispondiEliminaSilvia
Grazie per gli auguri... Ma credimi, basta una spinta piccina e via che si vola via!!
RispondiEliminawow. anche noi stiamo organizzando una migrazione familiare. anche noi in canada, ma zona di toronto. ti faccio tanti auguri! evviva l'avventura!
RispondiEliminaCiao a tutti! in questo nuovo anno appena iniziato, la mia vita sarà rivoluzionata: eh si ormai la nostra idea coltivata da diversi anni si sta trasformando in realtà! tra pochi mesi con tutta la mia famiglia (marito e tre figli piccoli, 5, 3 anni e 6 mesi)andremo a vivere in Medio oriente. Bisognerà finire di sbrigare alcune formalità e poi Via, Italia ti salutiamo.
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